Sai perché si festeggia Halloween proprio in questo momento dell’anno? Scoprilo in questo post!
Alla data del 31 Ottobre/1 Novembre, ci troviamo immersi nel profondo dell’Autunno. Da calendario, siamo nel suo picco, ovvero esattamente a metà strada tra l’Equinozio di Autunno (21 Settembre) e l’inizio della stagione successiva con il Solstizio di Inverno (21 Dicembre).
E con questo, assistiamo ad un ulteriore momento di progresso nel ciclo delle stagioni!
Proprio in questo periodo, l’ambiente che ci circonda sta per cambiare ancora (si osserva entro 2 settimane, a seconda della fase lunare): temperatura, luce, panorama ed atmosfera, tutto è in costante cambiamento.
In questo preciso momento dell’anno ci troviamo in quello che è forse la fase più delicata del ciclo delle stagioni. La luce del giorno, infatti, da adesso in poi continuerà a diminuire costantemente, fino a raggiungere la sua durata minima nel giorno del Solstizio di Inverno (la notte più lunga dell’anno).
Ci stiamo per addentrare letteralmente nell’oscurità. Anche dopo il Solstizio avremo poca luce come adesso (fino al picco di Inverno, in cui noteremo che sta tornando ad aumentare), ma la sua direzione in quel caso è crescente. Per adesso, puntiamo dritti dentro al buio! In attesa della magica rinascita che ci attende a Natale.
All’Equinozio di Autunno, il Sole sorgeva di nuovo esattamente ad Est e tramontava esattamente ad Ovest, creando perfetto equilibrio tra le ore di notte e giorno. Adesso la sua posizione nella volta celeste si sposta e se vogliamo osservare l’alba o un tramonto, allora occorrerà rivolgere lo sguardo verso Sud-Est e verso Sud-Ovest, rispettivamente, punti esatti in cui il Sole arriverà al Solstizio di Inverno.
Il moto della luce solare nel cielo è una delle forze naturali che governano i ritmi di vita sul pianeta.
Come esseri umani tendiamo a scordarlo, ma anche noi siamo parte della natura. La corrente di cambiamento perpetuo che la attraversa impatta profondamente anche le nostre vite.
Le settimane più intense dell’anno ci attendono. In questo periodo le energie della Natura rallentano sensibilmente, gli alberi quasi già spogli lasciano andare anche le loro ultime foglie e ben presto le loro sagome appariranno come scheletri neri contro il cielo plumbeo.
La terra si ammanta di nebbia e si concede il meritato riposo, dopo l’ultimo dei raccolti. L’aria autunnale da frizzante diventa sempre più umida e ci sospinge a cercare miglior riparo, quasi a proteggerci dai pericoli che si nascondo nel buio, ora che la notte cala sempre prima sulle nostre vite e, con lei, il silenzio. Tutto si prepara alla quiescenza.
Le foglie cadute a terra, bagnate dalla pioggia autunnale, vanno incontro a decomposizione e gli animali si preparano al letargo, ma i più deboli non supereranno i primi freddi. E’ la Natura che distrugge se stessa per poter tornare a nuova vita.
Tradizioni e simboli
Nella cultura rurale/pagana, questo momento rappresenta la fine dell’anno, di un altro ciclo vitale terrestre che si è compiuto. A livello simbolico è un momento che più altri ci parla di morte, di vita che termina, di punti che arrivano a chiudere le nostre frasi e le nostre storie.
Le ombre si allungano in fretta su ogni cosa ed invocano rispetto per questa fase oscura, di distruzione e di morte nella natura.
La bellezza che questo momento ci offre è l’occasione di riflettere sulla morte in modo neutrale, senza pregiudizio. Dal punto di vista della Natura, infatti, non è altro che il necessario presupposto per la rinascita nelle stagioni di luce. La morte è d’altronde parte della vita e la Natura ci insegna che non è qualcosa da temere: lei stessa muore (per poi rinascere) ogni anno!
Non è un caso che in questo momento dell’anno si concentrino le tantissime tradizioni dedicate al culto dei defunti: si celebra la loro memoria, il loro passaggio in questa vita.
Si impara ad alternare la loro assenza con un momento di presenza, vissuto nel ricordo. Questo ci permette di trovare più sopportabile la loro mancanza.
Dopo che si è spezzato il legame terreno, la mente avverte il desiderio di preservarlo. Questo è il momento adatto per riflettere sul rapporto che abbiamo con la fine, creare consapevolmente un ponte tra passato e futuro.
La festa di Ognissanti del culto cattolico, il Dìa de Los Muertos della tradizione ispanica, la celebrazione celtica di Samhain che ha condotto all’attuale festa di Halloween (All Hallows’ Eve): tutte queste festività sono imperniate sullo stesso tema, ovvero il rapporto tra vita e morte, ma anche la vita dopo la morte: dove va chi ci lascia? Cosa ne è di chi resta?
Questi rituali di origini diverse celebrano lo stesso tema, ma semplicemente lo fanno attraverso punti di vista diversi. Quindi la guerra ideologica tra questi rituali di origine diversa, che puntualmente si ripresenta tutti gli anni, di fatto non sussiste.
Dal punto di vista della ciclicità della Natura, la morte è solo un momento di passaggio, all’interno di un circuito vitale più grande.
Ponendo in primo piano il tema della morte, si potrebbe pensare che questi culti siano tetri o macabri; che intendano valorizzare il trionfo dell’oscurità sulla vita.
Metaforicamente, questo si presta ad essere interpretato come il male che trionfa sul bene e questa chiave di lettura è sicuramente quella che rende problematica la celebrazione agli occhi del culto cristiano.
Infatti, lasciare che le forze del male prendano il sopravvento è esattamente ciò da cui la Cristianità ci vuole mettere in guardia.
Inoltre, il rischio è confondere due tipi molto diversi di “male”: una distinzione che possiamo apprendere proprio osservando la ciclicità della Natura.
Da un lato, troviamo il “male” naturale che la morte rappresenta per l’essere umano, con il suo carico di dolore, sofferenza, lutto per la perdita di qualcosa che per noi era gioia.
La morte che conosciamo cancella tutto questo con apparente crudeltà; ma non c’è dòlo nel suo operato: come la Natura insegna, la fine fisiologica di ciò che si è compiuto è solo la premessa affinché possa esserci nuova vita. Dalle foglie cadute, nasceranno fiori. Dal suolo infecondo, nasceranno frutti.
Dall’altro lato, invece, è cruciale identificare il “male” in quanto tale, ovvero l’espressione di tutto ciò che di meschino, nefasto, corrotto e corrompibile possa albergare nell’essere umano e condurlo ad azioni deplorevoli, dannose per il suo prossimo oppure per se stesso.
Questo è il male da cui proteggersi e da cui proteggere gli altri. Questo è il male da non invitare nelle nostre vite; da non ammirare, imitare o persino tollerare – poiché il nemico è sempre in agguato, pronto ad infiltrarsi alla minima occasione. Con il nostro sguardo vigile, attenzione e consapevolezza possiamo invece metterlo in fuga.
Riflessioni importanti, dunque, si accendono come fuochi vitali ad illuminare la parte più oscura dell’anno, letteralmente e metaforicamente.
Perché proprio quand’è più buio, l’essere umano ricerca istintivamente la luce.
Le festività ed i rituali che le accompagnano sono importanti in tutte le culture, perché offrono una cornice socialmente condivisa per elaborare emozioni e vissuti legate a specifiche esperienze.
Le immagini e i simboli sono uno strumento molto potente per aiutarci in questo scopo.
Da dove provengono i simboli tradizionalmente associati a questa stagione? La festa di Halloween è rapidamente divenuta popolare in tutto il mondo: dalle sue origine europee alla rilettura moderna operata principalmente negli Stati Uniti, possiamo trovare dappertutto le decorazioni tipiche della tradizione pagana.
I simboli tipici di questa festa sono, infatti, tutti quelli che appartengono di diritto all’oscurità e al terrore, ad esempio le creature notturne come pipistrelli, gatti neri e ragni ma anche, e soprattutto, quelle che popolano il nostro immaginario, come teschi (trasformati in calaveras di zucchero nellatradizione messicana), scheletri, streghe e vari tipi di non-morti (vampiri, zombi, mummie).
Questi sono i “mostri” che albergano nel “buio” della nostra psiche, ossia l’inconscio, e si associano alla morte e a tutti i temi dell’esperienza umana che evocano disagio, paura, sconforto, angoscia.
Questi temi prendono i volti spaventosi delle figure della notte per incarnare ciò che ci tormenta. Alcuni lo considerano un modo per visualizzare i nostri “demoni” ed incontrarli per affrontarli – ma siamo preparati a farlo?
Esistono pericoli psicologici associati all’andare incontro a queste icone, soprattutto con spirito goliardico? Possiamo affermare di sì, se non altro perché senza il filtro della consapevolezza, vestire volontariamente i panni di un personaggio dell’orrore o di malcostume significa attivare una precisa esperienza psicologica.
Questa può essere, è vero, il riflesso di qualcosa che stiamo già vivendo a livello interiore, e che stiamo proiettando all’esterno per auto-consapevolizzarci.
Ma può anche significare immedesimarsi in schemi oscuri, che conducono alla distruzione o perdizione.
Se nel primo caso, il terreno è sdrucciolevole per l’equilibrio personale, nel secondo può precipitare esiti dannosi a medio e lungo termine. Abituarsi ad essere il “cattivo” (laddove il cattivo lo è davvero), ci aiuta a vivere la vita al meglio?
Questo periodo dell’anno è un momento che invita particolarmente al lavoro interiore, psicologico, spirituale. Se stai affrontando una crisi nel tuo benessere psicologico, è indice che la tua ricerca di giustizia, verità e benessere è appena cominciata e io mi metto al tuo fianco per assisterti. Puoi contattarmi ai recapiti che trovi in questa pagina.
Ispirazioni per il benessere
E le zucche? Questo simpatico vegetale accende di colore i paesaggi autunnali altrimenti spenti.
Ma fa anche qualcosa di più: la tradizione di intagliare una zucca ci mette a contatto in modo esperenziale e diretto con la nostra testa (“zucca” in italiano è un sinonimo goliardico di “testa”, es. “Cos’hai nella zucca?”). La prima volta che mi sono cimentata in questa decorazione, è stata un’esperienza che mi ha lasciato non indifferente.
Prima di tutto, bisogna aprire la zucca (= aprire la testa/mente). Poi occorre metterci le mani dentro (= dentro la testa) per maneggiare i contenuti (quello che “abbiamo in testa”). Così è come ho capito che anche questo è uno di tanti rituali che l’essere umano tramanda per insegnare ciò che è davvero necessario (non tanto decorare la zucca, ma sicuramente gestire la salute mentale).
E forse non c’è bisogno di travestirsi da mostro per conoscere il male un po’ più da vicino. Forse non c’è bisogno di incarnare quello che ci fa paura, solo per avere l’illusione di controllarlo meglio.
Forse basta riflettere sul senso della vita per sapere che direzione prendere e da che parte stare, magari con l’aiuto giusto.
Forse a volte tutto ciò che rimane è stare davanti al dolore ed accettare che faccia male, se il dolore è autentico ed è ciò che richiede, come il dolore per la perdita di qualcuno che si è amato.
Forse a volte travestire in maschera ciò che ci affligge, per farlo sembrare più amichevole, non è la soluzione giusta. Riconoscere il male per quello che è, è assolutamente un passo cruciale se vogliamo rispettare il valore della vita.
Ed è davvero facile, invece, per la morte avere una brutta reputazione. D’altronde tutta la vita siamo governati da un efficace istinto di sopravvivenza, lottiamo continuamente per rimandare la fine il più possibile, per proteggere chi amiamo.
C’è un valore universale ed inconfutabile che assegnamo all’esperienza di vita. Soffriamo in modo indicibile quando un affetto ci viene strappato. Eppure, in un’ottica di ciclicità, nella morte non c’è niente di male. L’unica differenza, come sempre, la fa il tempo in cui siamo in vita – e come lo usiamo.
La morte, sia reale, sia simbolica, resta uno dei temi più difficili da affrontare per l’essere umano, a causa della sua permanenza. Ci dona immortalità nell’assenza, quasi a beffarsi della nostra condizione mortale umana.
L’altro aspetto, collegato a questo, è che la morte è interruzione di legami affettivi. Non importa quando, chi, dove e come, la morte pone sempre fine ad una storia che parla di amore.
E questo è il valore che possiamo scegliere di far splendere, luminoso come una candela, nel buio delle nostre vite. L’amore è il più grande antidoto al dolore, la vera macchina del moto perpetuo che continua la nostra esistenza sul pianeta, la stella sempre accesa che ci guida oltre la morte, illuminando l’esistenza.
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